LA RIVISTA ROLLING STONE MAGAZINE, DI CUI SONO ASSIDUO ABBONATO, HA LANCIATO UN CONCORSO... "SCRIVETE LA RECENSIONE DEL DISCO METAL CHE VI HA CAMBIATO LA VITA".
Beh, siccome in palio c'è una chitarra elettrica, non mi son fatto pregare, dal momento che io ho un disco "metal" (mah?! oggi come oggi etichettatura assurda) che mi ha cambiato propensioni musicali...
Correva l'anno 1987... La buona musica si riusciva ad intravedere in TV solo con VideoMusic: ebbene un pomeriggio, febbricitante, ascoltai una delle ballate più belle del rock... "Sweet child o mine".
Titolo strano, così come il nome del gruppo... "Guns n Roses"
Il giorno dopo fu d'obbligo la visita a Popoff. Mi ritrovai sullo stereo una bomba a mano...
Ecco la recensione che ho inviato. Avrà successo????
GUNS AND ROSES - Appetite for destruction 1987
Disco di debutto su larga scala dei Guns And Roses (se eccettuiamo l'EP "Live: like a suicide", che fu ristampato successivamente come "lato A" del semiacustico LIES) "APPETITE FOR DESTRUCTION" rappresenta ancora oggi un pugno nello stomaco, uno squarcio violento che aperto nel mondo del rock. I Guns and Roses, guidati dal cantante distruttivo Axl, allora erano grezzi, genuini, lontani dalle pomposità del mastodontico (e semi-riuscito) progetto di "USE YOUR ILLUSION": vivevano tra eccessi di vario tipo, nella proteiforme varietà della tentacolare Los Angeles, in uno stanzone che era casa-sala prove-studio di registrazione-bar. Vivevano e sopravvivevano grazie ad espedienti, primo fra tutti il NighTrain (whiskey a buon mercato celebrato proprio nella loro canzone omonima...), immersi in una jungla violenta rispecchiata perfettamente nei 12 pezzi, che compongono questa "fame di distruzione". I Guns and Roses non fanno sconti: si capisce già dall'incipit "Welcome to the jungle", con introduzione stordente targata dal bravo chitarrista Slash e riff taglienti che si accavallano ad intermezzi tribali, in quattro minuti di energia pura ed iconoclasta. La seconda canzone "It's so easy" mostra l'anima punk dei Guns, sublimata in particolare nella figura del bassista Duff, che apre con un solo martellante. I primi 5 pezzi si susseguono mantenendo l'adrenalina a livelli eccelsi, grazie a pezzi come "Out ta get me", il già citato "Nightrain" e "Mr Brownstone", in cui i riferimenti autobiografici alla vita di strada fanno più volte capolino nelle liriche di Axl Rose; colpisce nel complesso il suono sporco, "street", che i Guns sono riusciti a costruire grazie soprattutto al fraseggio chitarristico tra il solista Slash e la ritmica di Izzy Stradlin', quest'ultimo peraltro ottimo compositore, nonchè membro del gruppo più aperto ad influenze blueseggianti. Chiude il "lato A" (virtuale) del Cd "Paradise City" una suite di più di 6 minuti, con un'introduzione suadente, ed una cavalcata chitarristica che si snoda via via, facendo emergere in pieno le potenzialità di Slash, in un pezzo destinato a rimanere come un classico metal.
La seguente "My Michelle", pezzo parimenti autobiografico,dedicato ad una amica morta di overdose, come lo stesso Axl ripeterà più volte, ci riporta sulla strada dei Guns più taglienti, con una intro acustica splendida, un riff potente ed un finale in crescendo. Il successivo "Think about you" rappresenta forse invece il pezzo debole della tracklist, una doverosa 'pausa' di ispirazione nel cammino fin qui visto. E' un attimo, e la celeberrima intro della ballata "Sweet Child o' Mine" ci conduce in un territorio più melodico, che avrà seguito nei lavori successivi dei Guns - le cui ballads su questa falsariga, rappresenteranno per il grande pubblico un marchio di fabbrica ("Don't Cry", oppure "November Rain"), un simbolo della parte più delicata del binomio Pistole & Rose. Altro fulmine a ciel sereno irrompe con "You'Re Crazy", violenza randagia purissima, testo deflagrante su un tempo veloce scandito da riff alla Ac-dC.
Siamo in dirittura di arrivo con il penultimo brano glam-punk "Anything Goes" e con la finale, bellissima (e sottovalutata) "Rocket Queen", altro sensuale e tagliente inno alla vita selvaggia, inframmezzato da mid-tempos e da assoli slide guitar. In conclusione 54 minuti di apoteosi e celebrazione del rock, nei suoi più eclettici travestimenti con metal, punk e blues fusi in un sound che molti hanno cercato di imitare, ma che nessuno (Guns compresi) è più riuscito a riproporre con la stessa magia genuina.
Disco di debutto su larga scala dei Guns And Roses (se eccettuiamo l'EP "Live: like a suicide", che fu ristampato successivamente come "lato A" del semiacustico LIES) "APPETITE FOR DESTRUCTION" rappresenta ancora oggi un pugno nello stomaco, uno squarcio violento che aperto nel mondo del rock. I Guns and Roses, guidati dal cantante distruttivo Axl, allora erano grezzi, genuini, lontani dalle pomposità del mastodontico (e semi-riuscito) progetto di "USE YOUR ILLUSION": vivevano tra eccessi di vario tipo, nella proteiforme varietà della tentacolare Los Angeles, in uno stanzone che era casa-sala prove-studio di registrazione-bar. Vivevano e sopravvivevano grazie ad espedienti, primo fra tutti il NighTrain (whiskey a buon mercato celebrato proprio nella loro canzone omonima...), immersi in una jungla violenta rispecchiata perfettamente nei 12 pezzi, che compongono questa "fame di distruzione". I Guns and Roses non fanno sconti: si capisce già dall'incipit "Welcome to the jungle", con introduzione stordente targata dal bravo chitarrista Slash e riff taglienti che si accavallano ad intermezzi tribali, in quattro minuti di energia pura ed iconoclasta. La seconda canzone "It's so easy" mostra l'anima punk dei Guns, sublimata in particolare nella figura del bassista Duff, che apre con un solo martellante. I primi 5 pezzi si susseguono mantenendo l'adrenalina a livelli eccelsi, grazie a pezzi come "Out ta get me", il già citato "Nightrain" e "Mr Brownstone", in cui i riferimenti autobiografici alla vita di strada fanno più volte capolino nelle liriche di Axl Rose; colpisce nel complesso il suono sporco, "street", che i Guns sono riusciti a costruire grazie soprattutto al fraseggio chitarristico tra il solista Slash e la ritmica di Izzy Stradlin', quest'ultimo peraltro ottimo compositore, nonchè membro del gruppo più aperto ad influenze blueseggianti. Chiude il "lato A" (virtuale) del Cd "Paradise City" una suite di più di 6 minuti, con un'introduzione suadente, ed una cavalcata chitarristica che si snoda via via, facendo emergere in pieno le potenzialità di Slash, in un pezzo destinato a rimanere come un classico metal.
La seguente "My Michelle", pezzo parimenti autobiografico,dedicato ad una amica morta di overdose, come lo stesso Axl ripeterà più volte, ci riporta sulla strada dei Guns più taglienti, con una intro acustica splendida, un riff potente ed un finale in crescendo. Il successivo "Think about you" rappresenta forse invece il pezzo debole della tracklist, una doverosa 'pausa' di ispirazione nel cammino fin qui visto. E' un attimo, e la celeberrima intro della ballata "Sweet Child o' Mine" ci conduce in un territorio più melodico, che avrà seguito nei lavori successivi dei Guns - le cui ballads su questa falsariga, rappresenteranno per il grande pubblico un marchio di fabbrica ("Don't Cry", oppure "November Rain"), un simbolo della parte più delicata del binomio Pistole & Rose. Altro fulmine a ciel sereno irrompe con "You'Re Crazy", violenza randagia purissima, testo deflagrante su un tempo veloce scandito da riff alla Ac-dC.
Siamo in dirittura di arrivo con il penultimo brano glam-punk "Anything Goes" e con la finale, bellissima (e sottovalutata) "Rocket Queen", altro sensuale e tagliente inno alla vita selvaggia, inframmezzato da mid-tempos e da assoli slide guitar. In conclusione 54 minuti di apoteosi e celebrazione del rock, nei suoi più eclettici travestimenti con metal, punk e blues fusi in un sound che molti hanno cercato di imitare, ma che nessuno (Guns compresi) è più riuscito a riproporre con la stessa magia genuina.
1 commento:
Ero strasicuro che avresti scelto questo album per la recensione! E' stato un album svolta della nostra adolescenza, un passaggio dal glam rock dei primi anni 80 al rock grezzo che ne ha contraddistinto la fine. Non posso che essere in piena sintonia con la tua recensione, soprattutto per la menzione a "Rocket queen", canzone sottovalutata, ma che secondo i miei personalissimi gusti è forse la più bella dell'album. Buona fortuna per la chitarra!
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