"Eccomi qua: sono io, sono il mostro da sbattere in prima pagina; d'altronde i vicini di casa lo avevano sempre sospettato, ed ora mi avranno in pasto. Mi troveranno così, seduto sulla mia poltrona, coperto da questo vecchio cappotto logoro. Ma non sarò solo. La bimba è lì, sul divano, addormentata, il giubbino raggomitolato sul petto. Il suo sguardo è sereno, incomprensibilmente sereno. E' finita... ma forse posso rimediare, con un piccolo ultimo gesto di pietà, a tutto il male che le ho fatto. Alzo le mie ginocchia scricchiolanti, apro il contatore della luce, abbasso le leve. Uno scatto secco, plumbeo, fa precipitare la stanza nel buio, il ronzio impercettibile degli elettrodomestici si ferma. Intravedo solo il dolce profilo della povera sventurata, immobile, la mano penzolante fuori dal divano, a cercare un ultimo contatto con il suolo. Devo fare presto... devo porre termine a tutte le sue sofferenze, tanto tutti i medici, psicologi e psichiatri del mondo non la potranno salvare dall'abisso in cui l'ho trascinata. Non sono riusciti a farlo neanche con me... in vent'anni di ospedali e cliniche psichiatriche non mi hanno aiutato per un solo giorno a scappare dal Male: non è passata una sera senza che prima di addormentarmi rivedessi lo sguardo morente e implorante di mia madre, quello violento di mio padre o quello assente, scheletrico, di mio nonno morto, chiuso nell'armadio per tre anni, fino a diventare una mummia informe. Scuoto la testa per scrollarmi di dosso questi fantasmi invadenti... anche adesso che siamo alla fine, non hanno il pudore di tacere. Penso a quel prete, Don Federico, forse lui è stato l'unico a darmi una mano, a cercare di parlarmi. Se lo avessi incontrato oggi pomeriggio, magari davanti ad una birretta, mi avrebbe fermato. Forse. E' stato lui a offrirmi quei piccoli lavoretti per la parrocchia e la Pro Loco, in cui per un attimo si riusciva a stemperare tutto il mio dolore. Grazie a lui, la cosiddetta "società" mi ha di nuovo arruolato: ma ormai era tardi. Ero vecchio dentro, logoro più del mio cappotto, e incapace di chiedere qualcosa alla vita. Lavoravo come ausiliario del traffico, davanti alla scuola elementare. Tutti giorni grigi, tutti giorni uguali, finchè non è arrivata lei, con quello zaino a fiorellini rossi e blu che ha innescato l'esplosione nella mia testa. Lo stesso zaino che adesso è lì, buttato frettolosamente sul pavimento, come un fardello insostenibile. Quello zaino mi aveva condotto, negli ultimi tre mesi, a sognare ad occhi aperti, e a cercare di figurarmi quei due occhi entusiasti della vita che lo sballottavano qua e là lungo le scale della scuola: quei due occhi, ora placidamente chiusi, erano divenuti l'ultimo pensiero prima di dormire, ed il primo di ogni nuovo giorno. L'impulso egoistico di rivedere un ultima volta quello sguardo si appanna... vado in cucina e apro il gas. I quattro fornelli difettosi non avranno bisogno di fiammiferi, oggi. L'odore acre arriva subito, ma basteranno pochi secondi ed il mio naso sarà già assuefatto. Sentirò la testa pesante e allo stesso tempo vuota, e poi più nulla. Mi siedo sulla poltrona, sistemo i lembi del cappotto, guardo il corpicino inerte sul divano. Già il mio respiro è innaturale, forzato, la vista sbiadita. Lei invece continuerà il sonno, senza accorgersi di niente, ed è meglio così. Vedrò la sua anima lucente per un attimo, prima di sprofondare all'Inferno, e spero soltanto che abbia compassione di me."
2 commenti:
Bello, cos'e'? l'hai scritto tu? c'era quell'indizio delle "birretta"....ma no magari mi sbglio. cos'e'?
Scritto io. Un racconto (il primo - un esperimento).. però sul sito "poetare" dove è pubblicato, ha avuto recensioni positive... tra breve ci sarà il seguito.
Posta un commento